Rock In Peace, Malcolm!

“C'è qualcosa che non va”: furono queste le parole che pensai non appena iniziò la campagna promozionale di “Black Ice”, nel 2008. Mi riferisco a un video che riprendeva il backstage fotografico per la copertina del numero di “Rolling Stone” dedicato al ritorno della band, dopo 8 anni dall'ultimo lavoro in studio “Stiff Upper Lip”. E' curioso come per la prima cover dedicata agli AC/DC in tutta la loro carriera, la rivista abbia chiamato solo 3 dei 5 membri per una foto così significativa. Qualche anno fa Brian ci raccontò che non la prese proprio bene, a tal punto che evitò di sorridere nello scatto finale, che vedete pubblicato a questo indirizzo. Probabilmente sapeva anche che la rivista, soprattutto agli inizi, non era solita usare toni troppo lodevoli nei confronti del gruppo: il loro primo album internazionale “High Voltage”, nel 1976 veniva giudicato come “il punto più basso che abbia mai raggiunto l'hard rock”. Forse, quasi 30 anni dopo, si erano finalmente ricreduti.

Fatta questa prima parentesi, quel video fu quindi la prima occasione in cui notai qualcosa di strano in Malcolm. Era già uscito il video del singolo “Rock'n'Roll Train”, ma non mi accorsi di nulla. Il montaggio finale aveva nascosto ogni fonte di dubbio. Quello di Rolling Stone non era un filmato lungo, ma venivano riportati, tra un backstage e l'altro, alcuni commenti, per la maggior parte di Angus e Brian, allegri e dalla battuta pronta come di abitudine. Malcolm interviene a un certo punto con un parere riguardo al brano “Black Ice”: “It's a tough song, you know...” (E' una canzone tosta..). Ha la mano dietro al collo, sembra quasi insicuro (potete vedere il video a questo indirizzo. Il momento di cui parlo è al minuto 2:15). Non è senz'altro il solito, che ha sempre trasmesso determinazione nelle sue parole e nel modo di porsi. Potrebbe essere anche stanchezza, poca voglia, un momento un po' sottotono, supposi. Man mano che seguivo la promozione dell'album, notavo che gli unici ad essere intervistati dai media erano sempre Angus e Brian, singolarmente o in coppia. Per gli altri lavori in studio, seppur più raramente, Malcolm aveva comunque partecipato in diversi video. Non era un caso, e passeranno pochi giorni per notare un altro particolare.

Marco e Andrea dello staff sono in America. Il tour è iniziato praticamente subito dopo la pubblicazione dell'album. Hanno partecipato al concerto di prova a Wilkes Barre, poi alla prima data sempre alla Wachovia Arena e successivamente ai concerti di Chicago, ai quali riprendono un paio di video da condividere sul nostro canale YouTube. Alla prima telefonata, Andrea mi aggiorna dell'iniziativa aggiungendo un particolare insolito, notato chiaramente avendo preso posto a lato del palco nei posti a sedere, e che conferma ulteriormente la mia perplessità: Malcolm si era dimenticato qualche coro sul brano “War Machine”, rimanendo fisso nella propria posizione senza avanzare verso il microfono, parallelamente al bassista Cliff Williams. Buffa come cosa: conoscendo bene la sua precisione e granitica sicurezza soprattutto durante i concerti dal vivo, era davvero troppo insolito. Anche il suono non aveva la stessa grinta ma, in questo frangente, non si aveva ancora un audio ufficiale a cui fare riferimento. In più la band suonava accordata un semitono più basso rispetto allo standard e, data la minor tensione delle corde, la carenza del classico “crunch” proveniente dalla chitarra Gretsch poteva dipendere anche da questo dettaglio. Ebbi la conferma solo con l'uscita di “Live at River Plate” tre anni più tardi, dove un suono perfetto degli strumenti correttamente bilanciati mi fece capire che quella mancanza era dovuto più a qualcosa di “fisico”, piuttosto che di “tecnico”.

Come sappiamo, il tour prosegui con enorme successo. Per i più attenti, Malcolm sfoggiò nuovamente la leggendaria “White Falcon” in qualche data. Dalle riprese trasmesse sui megaschermi notai sempre più frequentemente anche il suo sguardo: se le movenze fisiche, meno energiche rispetto ai concerti del 2003, potevano dipendere dall'avanzare dell'età, il suo viso era spesso rivolto verso il manico della chitarra come per orientarsi sui tasti, e a volte sembrava cercasse riferimento negli altri membri della band. Se in precedenza si notava qualche sorriso o scambio di occhiate di intesa con il fratello, quest'ultime sembravano invece più in cerca di supporto. O almeno, così mi era parso. Lo feci notare ad Andrea e Marco, che confermarono le mie osservazioni, però dandogli meno peso del sottoscritto. L'importante era che i fan fossero felici di vedere la band nuovamente sul palco, specialmente in Italia nei due concerti a Milano che tanti, compreso noi, porteranno sempre nel cuore. Dopo l'oramai storico show al River Plate di Buenos Aires, nelle date estive del 2010 notammo un leggero calo della resa generale sul palco: seppur scenicamente l'impatto fosse sempre efficace, alcuni brani venivano suonati con più calma (Shot down in flames, Back in Black su tutti); il tour stava diventando davvero lungo e le richieste di nuovi concerti aumentavano. Il “Black Ice Tour” doveva terminare in Giappone in Marzo, ma proseguì fino a Luglio dopo aver recuperato alcuni concerti americani in Aprile per poi affrontare una nuova leg europea all'aperto.

Scorrendo i video su YouTube, oramai tappa fissa dopo ogni show per avere un report visivo immediato, incappai nella “Shoot to thrill” della data di Bucharest, in Romania. Con estrema sorpresa, Malcolm non partì in quello che per me è sempre stato il suo momento d'oro, l'attacco dopo il riff iniziale, quello che apre le danze ad uno dei loro brani più coinvolgenti di sempre. Alcuni utenti se ne accorsero, commentarono che probabilmente si trattava di un problema tecnico perchè pareva intravedersi la mano muoversi, ma senza far uscire nessun suono dalla chitarra. Rileggere quelle frasi a distanza di tanti anni, mette sempre addosso tanta malinconia.

Pochi mesi prima, in Aprile, fu anche pubblicato l'album “Iron Man 2”: solo con la scoperta della malattia, realizzammo che la scelta di far uscire una sorta di compilation, concezione di album alla quale la band è sempre stata notoriamente riluttante, forse non era più dipesa dall'influente parere e decisione di colui che ha sempre tenuto le redini del gruppo, trovandosi in un momento così delicato.

Come accennai più sopra, fu solo con la visione a tutto volume di “Live at River Plate” (invitati per un'anteprima agli uffici della Sony a Milano), che ci accorgemmo tutti e tre in maniera definitiva che il tocco della mano destra di Malcolm era cambiato. Avendo un suono nitido della sua traccia, le ritmiche di diversi brani (Shot down in flames, Hells Bells su tutte) erano stranamente più “accarezzate”. Per averne la prova, isolate il solo canale sinistro dell'audio e procedete all'ascolto. Vi accorgerete anche di quanto la chitarra di Angus sia più alta, quasi per livellare il risultato del mix finale.

Il consueto silenzio in cui entrò la band alla fine del tour, a parte la parentesi dell'apparizione alla premiere londinese nel Maggio 2011, non fece trapelare nulla in merito allo stato di salute di Malcolm. Solo nei mesi successivi tra alcuni fan iniziò a girare voce che uno dei membri non stesse bene, ma non era assolutamente chiaro chi e perchè. Se non fosse stato innescato un impressionante rimbalzo di voci sul web all'inizio del 2014, poco dopo che il chitarrista si trasferì con tutta la famiglia a Sydney dalla sua abitazione fuori Londra, non saprei dire quando avremmo saputo riguardo al suo stato di salute. Il comunicato ufficiale che ne seguì diede l'idea di essere stato pubblicato forzatamente, visto il polverone (ce lo ricordiamo bene) che si era scatenato online nelle precedenti ore. I successivi sviluppi nella band invece li abbiamo presenti tutti.

Sempre coerenti con la loro idea di riservatezza, sorprende come l'intera macchina AC/DC non abbia fatto trapelare nulla in merito alle condizioni di Malcolm per ben 7 anni. Non immaginiamo quanto possa essere stato stressante in primis per lui, ma anche per il resto della band, dover gestire una situazione simile. Sentir raccontare direttamente da Angus di come, praticamente ad ogni concerto , abbia dovuto imparare quasi da capo i brani da eseguire ci fa capire il perchè la scaletta fu raramente modificata nel corso dell'ultimo tour. Non era di certo una novità quella di suonare gli stessi brani per decine e decine di date, ma avere così pochi cambiamenti tra una leg e l'altra all'epoca ci aveva leggermente infastidito...e per questo è difficile ancora oggi non provare un pizzico di senso di colpa.

Ad ogni modo, fece davvero strano ascoltare certe parole direttamente dal fratello, che toccavano argomenti delicati e così personali. Era un approccio ai fan inedito fino ad allora. Ci sorprese poter conoscere alcuni dettagli, raccontati in certe interviste da un Angus quasi sul filo della commozione e probabilmente con uno sconforto interiore (tra l'altro appesantito in quel periodo anche dall'improvvisa notizia sull'arresto di Phil Rudd, con un tour da organizzare) che mai potremmo capire fino in fondo. Sapere della volontà di Malcolm di voler continuare fin quando fosse riuscito a suonare e gestire la situazione, ha aggiunto ulteriore stima a colui che ha concepito la ragione di vita per moltissime persone.

Per i successivi 3 anni dopo l'annuncio del ritiro e fino alla data della sua scomparsa, non abbiamo saputo più nulla in merito alle sue condizioni. Sono emerse solo poche foto nel Maggio 2015 (che per tutti sarebbe stato meglio non veder mai pubblicate) mentre era accompagnato poco distante dalla clinica in cui era ricoverato: lo ritraevano così fragile e cambiato dall'ultima sua apparizione pubblica del 2011 da essere difficilmente riconoscibile. Fortunatamente ci rimane l'immagine del suo sguardo schietto, ricco di determinazione, fermezza, coerenza ed orgoglio per quanto costruito negli anni. Riceviamo in eredità un'attitudine da cui trarre insegnamento, un chiaro esempio di come certi valori possano diventare un preziosissimo riferimento, oltre alla musica della band stessa.

Rock In Peace, Malcolm!