"Play ball": coerenza sbrigativa, ma efficace

Lo sappiamo tutti: l’attesa per un nuovo brano degli AC/DC ha sempre messo a dura prova la pazienza per i fans dello “zoccolo duro”. Una volta pubblicata la notizia di una prossima anteprima la curiosità e l’emozione di ascoltare nuove note tendono a trasformarsi in qualcosa ai limiti del morboso. Si cominciano a contare i giorni sul calendario, e le visite ai principali siti web dedicati alla band aumentano in modo esponenziale. Il feed (flusso di post) di Facebook diventa una nuova fonte di news improvvisate. Aspetta un attimo. Qualcuno ha pubblicato un presunto demo di una nuova traccia sulla bacheca. Fammi dare un ascolto. No – chiudo dopo due secondi – è palesemente una bufala.

Questa era una sommaria descrizione di ciò che la maggior parte di noi avrà provato con l’uscita di Black Ice, o meglio, con l’annuncio della pubblicazione del primo singolo “Rock’n’Roll Train”, verso la fine di Agosto 2008. Con “Play ball”, le cose sono andate in maniera diversa: un collage del pezzo su un annunciato trailer dedicato al baseball, “sporcato” dalla voce del telecronista impegnato a commentare le azioni più importanti sul campo. Prima la versione da 30 secondi, poi da un minuto. Suonati e risuonati quasi all’infinito. Puro nutrimento per la nostra carenza di AC/DC. Pochi giorni fa al via il comunicato stampa con copertina, tracklist e, finalmente, la versione integrale del brano. Ma c’è qualcosa che ti lascia l’amaro in bocca. Sai che Malcolm non c’è, e l’aspettativa di avere un brano “all’altezza” – di certo non mi riferisco ai primi 20 anni della band, come pretenderlo – cresce indubbiamente dentro. Stevie l’abbiamo sentito solo su Youtube in video di scarsa qualità audio. In più, almeno a livello personale, speri che quest’ultimo lavoro non sia superficiale e circondato da un’atmosfera “forzata”. Oggi è comunque presto per dirlo, per scoprirlo dobbiamo aspettare ancora un paio di mesi scarsi.

Concentriamoci ora su questa “Play Ball”, un primo singolo sostanzialmente sbrigativo, con un buon tiro e un’atmosfera spassosa. L’attacco di Phil Rudd al rullante apre le danze a due minuti e quarantasettesecondi di un brano che contraddistingue sin da subito lo stile AC/DC che tutti conosciamo: c’è il sound, ci sono i licks, così come batteria dritta e basso pulsante dai primi secondi. Neanche il tempo di identificare gli accordi iniziali – un giro in più non sarebbe mica guastato – ed ecco entrare la voce di Brian. Non urlata, alla “Rock’n’Roll Train” per intenderci, in forma, ben modulata come sul precedente Black Ice, accompagnata dal solo canale destro di Angus. Una simpatica sorpresa il riff armonico che accompagna i primi 30 secondi, prima che entri la chitarra che tutti vorremmo sentire.

Stevie Young a mio parere non delude. Inutile ribadire quanto fosse fondamentale il ruolo di Malcolm della band. Il nipote, perlomeno in questa “Play Ball”, ricopre egregiamente il ruolo di chitarra ritmica, a mio parere accentuando ancor piu dello zio – rispetto agli ultimi lavori – le “acciaccature” in palmuting (tecnica tipica degli strumenti a corda che consiste nello smorzare il suono della corda con il palmo della mano destra) prima degli accordi, che tanto hanno contraddistinto e reso famoso il suo modo di suonare, insieme all’utilizzo delle sincopi (il ritmo prodotto dalla variazione dell’accento ritmico della battuta). Con un po’ di sfacciataggine, sfiderei chiunque a riconoscere una mano diversa se non si fosse saputo dell’assenza di Malcolm Young. Comunque collocherei questa “Play Ball” vicino ad un album come “Fly on the wall” – le ritmiche mi ricordano vagamente “Sink the pink”. Cliff e Phil invece tutto come da programma. Fanno il loro, e lo fanno bene come sempre. Dritti e martellanti. Nulla da dire.

Il mixaggio è molto simile a quello di “Black Ice”. Non apprezzo molto la scelta di ripetere nuovamente un sound del genere. Non che non mi piaccia, ma immaginare di ascoltare una b-side o traccia bonus del precedente lavoro non mi entusiasma più di tanto. Trovo però le chitarre senz’altro più definite e separate, batteria e basso resi ancora “importanti”. Menomale.

Mi soffermerei un attimo sulla questione “songwriting”. Non è sicuramente un Singolo con la “s” maiuscola, e nemmeno una hit. La “questione Malcolm” sicuramente avrà un ruolo importante durante il giudizio dell’intero album e delle singole tracce, involontariamente sarà un’aggravante soprattutto verso quegli aspetti che ci piaceranno di meno. Il nome “AC/DC”, soprattutto a questo punto della carriera, fa perdonare la non-incisività del brano. Se fosse stata suonata da un’altra band, probabilmente ci sarebbe scivolata addosso molto velocemente. E’ un paragone azzardato, grezzo ed elementare, ma un riff alla “Back in Black”, sarebbe stato comunque grandioso suonato da qualsiasi altro gruppo. Giusto per farvi capire cosa intendo (fratello Fil, non mi volere male, so che è la tua canzone preferita). Il lick di Angus ripetuto più volte nel brano sembra un frammento di un assolo live, inserito in un pezzo in studio. Lo trovo un po’ “banalotto” così come il cambio di tonalità usato come bridge per il solo. Questi sono gli aspetti principali che ho elaborato fin da subito e dopo pochi ascolti. Non sapendo con sicurezza se gli autori siano entrambi i fratelli Young o meno, non mi esprimo troppo in merito a frasi del tipo “Se ci fosse stato Malcolm tra gli autori, sarebbe stato…” anche se, a mio parere, il suo zampino potrebbe esserci.

Con tutta questa mia analisi non voglio dire che “Play ball” sia un brutto pezzo. Assolutamente. E’ solamente una canzone che coinvolge, ma che non lascia il segno. Trascina, ma non mordendo. Sono solo curioso di sentire l’intero album e vedere se è stata effettivamente la scelta più azzeccata come primo singolo apripista per il grande ritorno della band. Ho idea che dal vivo possa rendere egregiamente, e che sappia svolgere il compito – il più importante, in fondo – che ha ogni canzone degli AC/DC: divertire e far battere il piede. Let’s Play Ball!

Gabriele
gabriele@acdc-italia.com