Bon Scott: biografia

di Diego "GibsonSG"

Ronald Belford Scott, nacque a Kirriemuir, in Scozia, il 9 Luglio 1946, e nel 1952, date le precarie condizioni lavorative e finanziarie, si trasferì con la famiglia nella più promettente e florida Australia, e precisamente a Melbourne, per poi stabilirsi definitivamente a Fremantle vicino a Perth, nel 1956. Subito interessatosi alla musica, finì per suonare dapprima la cornamusa con suo padre, successivamente la batteria, con la quale progredì molto, e che diede il via alla sua attività di musicista non-professionista, come cantante-batterista. Lasciata la scuola a 16 anni, cominciò a guadagnarsi da vivere, come macellaio, fornaio e addirittura postino, fino alla definitiva decisione di dedicarsi alla musica a livello professionistico. Purtroppo l’indole di bevitore-donnaiolo, lo fece finire in carcere, fatti che gli crearono una pessima reputazione, ma che non gli impedirono di ricostruirsene una, entrando a far parte di una band, i Valentines, gruppo pop alla moda, ben vestiti e con le facce da bravi ragazzi.

Con i Valentines ci furono delle soddisfazioni a livello commerciale e il raggiungimento di una certa popolarità, ma poi messa in discussione da un’avvenimento spinoso, che trascinò Scott sul banco degli imputati un altra volta, i Valentines infatti, si aggiudicarono il primato di prima band australiana ad essere colta in possesso di stupefacenti. Superato lo scandalo Valentines, venne il momento dei Fraternity band di Jazz-Rock con venature Blues, con i quali girò l’Europa e l’Australia, e produsse due album, riscuotendo un discreto successo in patria. Fu proprio alla fine del tour europeo che, tornato in patria, rimase in coma cadendo dalla moto, e una volta ripresosi e passati diversi mesi all’ospedale, pensò che almeno momentaneamente la musica poteva aspettare, e si dedicò ai più disparati lavori. Fu in questo periodo che venne per la prima volta in contatto con gli AC/DC, impegnati nelle loro prime serate importanti a livello nazionale, con un’ insoddisfacente Dave Evans alla voce. Ma qui la storia è già leggenda, ben noto è infatti il reclutamento di Scott come autista del bus della band, e successivamente l’entrata nelle file degli AC/DC, quando Malcolm e Angus Young, si ritennero stufi di Dave Evans, e si misero alla ricerca di un nuovo singer. La prima cosa che colpì i discografici e il pubblico fu l’immagine, il portamento fiero e istrionico di Bon Scott contrapposto alla figura di scolaretto pestifero di Angus Young, fu la scintilla che scatenò il successo, e la curiosità dei media, spesso denigrante, ma che non fece altro che pubblicizzare i nostri ed alimentare l’interesse. Tralasciando per un’attimo la musica, il fiero e onesto hard boogie dei nostri, e concentrandoci un’attimo sul lavoro di Scott sulle liriche, sua principale competenza, ci rendiamo conto che l’estrema sincerità e sfrontatezza di queste ultime, furono uno dei punti di forza che non fecero altro che rendere immortali i brani, già favolosi nel lato strumentale.

A volte come dicevo, al limite del lussurioso, autobiografici, resi spesso un manifesto di realtà e di voglia di fare, voglia di fare casino, sbronzarsi, andare a donne, cantare il rock n ‘roll e mandare al diavolo le classi borghesi e impiegatizie, le prime a torcere il naso davanti a questi cinque australiani rumorosi e trasandati. E mentre alcuni pezzi come “Rock n’ Roll Singer” sfidano le classi borghesi ad infilarsi in quel posto il perbenismo del loro “nine to five livin’…..”, altri pezzi raccontano giochi sessuali di ragazze facili e ammiccanti (“The Jack”), alcuni raccontano la massacrante vita “on the road” come nella mitica “It’s a long way to the top”, fino a brani dove l’essere libero e gridarlo al mondo diventa la tematica principale, vedi “Highway to Hell”.

Tematiche fiere, portabandiera di sfrontatezza e virilità, contro chi da contro, vite vissute, donne conquistate, sesso, alcool e rock’n roll, insomma un modo di essere on the road, una vita dedicata al rock, non di certo l’essenza dell’originalità, ma sicuramente la sincerità di chi quello che canta lo ha vissuto sulla propria pelle, e gli AC/DC, sono una band che di vissuto ha da vendere, in questi anni di un Bon Scott senza censure, inibizioni e falsi moralismi. Queste tematiche rese dal vivo da un’istrione, un frontman vero, un cantante non eccezionale ma grande interprete, sempre pronto a provocare ed essere provocato, giocando con un’Angus Young immenso nel suo modo di essere on stage, creando una sinergia cha ha dato in questi anni, l’impronta che ha annoverato definitivamente gli AC/DC come i più grandi.

Gli anni 70, anni di grandi eccessi, gli anni delle rock star, la culla ideale per un Bon Scott vissuto sempre al limite, ricordato dopo la morte dai maligni come un’alcolizzato, caduto per colpa dei propri stravizi, commenti che in realtà non fanno cadere il mito né tantomeno fanno perdere lucentezza alla sua stella, data la sua grandezza e soprattutto sincerità, sincerità di un’uomo che è stato capace di ammettere le proprie debolezze apertamente anche in una canzone, Ride On. Dove analizzando i passati sbagli, le proprie debolezze e delusioni, promette di cambiare le proprie cattive abitudini……. “uno di questi giorni”.

Questi fattori rendono indimenticabile la figura di Bon Scott, la sua importanza, la sua presenza, i suoi testi, il suo semplice modo di essere, descritto da tutti i suoi conoscenti come irresistibile, unico, simpaticissimo, un vero amico. Tanti lo hanno ricordato con affetto negli anni, da Ozzy Osbourne a Pete Way a Bob Daisley, ricordato un amico che purtroppo però spesso non viene ricordato come dovrebbe, e anche considerato come dovrebbe.

Una cosa che rende Bon Scott simile a Ritchie Blackmore, entrambi riconosciuti come unici e fondamentali, ma spesso omessi dalle liste dei grandissimi, insomma a volte degli illustri “dimenticati”. Forse perché scomparso poco prima del grandissimo salto, forse per l’enorme successo di Back in Black che ha reso subito l’immagine di Brian Johnson fondamentale negli AC/DC, Bon Scott non ha mai ricevuto tutti i meriti per ciò che ha fatto, ma questo non toglie che la sua stella brillerà sempre nel firmamento dei grandi, degli immortali, di coloro che hanno fatto la storia del rock. Ed in occasione di questo ventiquattresimo anniversario dalle morte, che scrivo, scrivo di questo eccezionale interprete dalla battuta sempre pronta, di questo animale da palco sempre in cerca di donne, o semplicemente di un’onesto cantante, che mai ha abbandonato la propria strada, come le canzoni che cantava mai abbandoneranno i milioni di fans in tutto il mondo.

Questa è quella che si può definire una grande eredità.