di Massimiliano Cavaciocchi, Staff AC/DC Italia.
Se oggi l’hashtag #backinblack40 imperversa ovunque, gran parte del merito è dovuto alla forza che questo irripetibile album ha mantenuto intatta in 40 anni, incluso l’ottimo lavoro dell’allora esordiente Brian Johnson. Tuttavia, almeno inizialmente, l’enorme successo del disco fu inevitabilmente legato alla morte di Bon Scott, a cui è come noto dedicato. Una tragedia che contribuì indirettamente ad alimentare il mito della band, nel momento in cui Highway To Hell aveva spalancato le porte verso il grande successo internazionale. Forse proprio questo è il motivo per il quale, nelle ultime settimane, ripensavo spesso ad un avvenimento, di cui avevo solo sentito parlare. Un fatto straordinario, per molti aspetti.
Dicembre ‘79. A Pistoia non è ancora esploso pienamente il fenomeno “blues”. Avverrà solo qualche mese dopo, con la prima edizione dell’ormai storico festival, nel Luglio del 1980. Il circuito underground di questa tranquilla città Toscana è comunque anche altro. Punk, rock e soprattutto heavy metal fanno capolino tra gli adolescenti. Fabio, 14 anni, è uno di loro. È un metallaro. Uno di quelli che con i pochi risparmi compra vinili e li fa scorrere incessantemente sul piatto. Grandi album, in quel periodo. La passione per la musica l’ha ereditata dalla famiglia e già si diletta con buoni risultati nel canto. La sua voce è ancora acerba, ma negli anni svilupperà una chiara impronta metal che lo condurrà a guidare una formazione piuttosto nota nella zona: gli “Acciaio”.
Ma quello che vogliamo raccontare non è legato a Fabio come musicista, bensì al suo amore per una band. Gli AC/DC, naturalmente. Una passione sfrenata, che lo porterà a vivere un’incredibile avventura. A “scappare di casa”, adolescente, per assistere ad un concerto dei suoi eroi. Ma non un concerto qualsiasi. Inconsapevolmente, Fabio ha un appuntamento con la storia. È il 9 Dicembre 1979, siamo a Parigi. “Let there be rock, the Movie”. To Bon. Il resto è leggenda. E questo è il suo racconto.
Ricordo bene il profumo del mio primo vinile. Sembra un dettaglio irrisorio ma non è così. Condivido con molti l’emozione che si prova all’apertura di un disco, l’odore che emana mentre togli la pellicola. Fu un regalo di mio zio ed era dei Black Sabbath. War Pigs è il primo pezzo che ho ascoltato in “loop” per giorni. Veramente esistono chitarre così potenti? Per me fu una rivelazione. Alla fine degli anni 70 in un paesone refrattario come Pistoia era difficile trovare qualcuno con una maglietta rock, i capelli lunghi ed i jeans sdruciti. Bastava incrociarsi in centro il Sabato pomeriggio e già ti riconoscevi. Spontaneamente nascevano amicizie e affinità. Eravamo dieci o quindici, forse. E quasi tutti cominciammo a frequentare la discoteca “Joi Joi” di Prato. Il DJ amava il rock e saltuariamente organizzava una sorta di karaoke. Partecipai cantando High Voltage e vinsi la mia prima maglietta degli AC/DC. Piccole soddisfazioni.
Nel frattempo, uscirono Powerage e poi Highway To Hell, entrambi acquistati alla Galleria del disco di Firenze dove mensilmente mi recavo. Una folgorazione il primo, conferma di un amore crescente il secondo. Non mi stancherò mai di ascoltare Rock’n’roll Damnation e sentire il riff di Highway To Hell per la prima volta, beh. Sono cose che non si dimenticano. Tanta era la passione per la musica che mi facevo spedire dall’Inghilterra alcune riviste rock. Era l’unico modo per tenersi aggiornati in quegli anni. Su Sounds, se non ricordo male, lessi che gli AC/DC avrebbero suonato in Francia alla fine dell’anno. Sembrava un sogno. Parlai ai miei genitori di questo mio desiderio ma, chiaramente, la risposta fu un secco no. Tuttavia in me era forte il desiderio di realizzare questa piccola impresa e soprattutto di mettermi alla prova. A differenza dei miei coetanei ero un ragazzino molto dinamico. Non frequentavo il bar del paese come molti di loro, preferivo partire anche da solo, in treno, per le campagne Toscane. Godevo di questa gioiosa solitudine, sempre accompagnata dal mio stereo portatile a pile e dalle cassette degli AC/DC. Incredibile come ancora oggi, nei miei frequenti viaggi in macchina, ascoltare questa band a tutto volume mi regali un infinito senso di libertà. Sei realmente sulla Highway To Hell, anche se magari stai solo percorrendo la noiosissima tangenziale di Bologna!
Tornando al mio sogno, iniziai a fine estate a lavorare in un circolo non lontano dal mio paese, Montale. Conoscevo il proprietario e grazie a lui racimolai i soldi per acquistare, tramite un’agenzia di Torino, il biglietto per il concerto che gli AC/DC avrebbero tenuto a Parigi il 9 Dicembre. Lo feci spedire a casa di mia nonna che, a differenza dei miei, mi ha sempre appoggiato in tutto, persino in questa situazione al limite per un quattordicenne. Nel momento in cui toccai con mano la lettera contenente il ticket, ottenuto con tanta fatica, capii che non potevo più tornare indietro. Restava il problema dei franchi. Amici di amici conoscevano una persona che lavorava in banca e riuscì a procurarmi una piccola somma. Comprati i biglietti del treno, tutto era pronto.
La mattina del 7 dicembre saluto mia mamma per andare a scuola. Da buon “Problem Child”, non ci andai mai. Mi recai invece da mia nonna dove sarei dovuto restare a dormire alla viglia della festività dell’8 Dicembre. Li preparai con scarsa attenzione poche cose da portare con me. Un po’ di frutta, un pacchetto di patatine, un panino scarso e qualcosa da bere. Ingenuità di bambino. Il giorno dopo inizia dalla stazione di Pistoia il trasferimento vero e proprio. Firenze - Parigi era una tratta che prevedeva 15 ore di viaggio in scompartimenti non proprio comodi. Non ho molti ricordi di quei momenti, la cosa certa è che non mi rendevo conto di quello che stavo facendo. Mi sembrava uno dei soliti viaggetti, moltiplicato per dieci in termini di tempo. L’arrivo a Parigi coincide con la mia prima metro e la mia prima birra! Come detto i soldi erano pochi e non potevo permettermi molto da mangiare. Comprai però un portachiavi raffigurante Bon Scott che tempo dopo regalai ad un amico: lo consideravo fan più sfegatato di me! Naturalmente ero ignaro che quello che stavo per andare a vedere era uno degli ultimi show di Bon. Come ero ignaro del gruppo di supporto, di cui non ricordo assolutamente nulla. Il vuoto. Ho saputo dopo che suonarono i Judas Priest. Non li conoscevo molto ed ho apprezzato tanti dei loro lavori negli anni a seguire. Questo in ogni caso rende l’idea del mio stato emozionale, una eccitazione tale da togliere quasi la lucidità.
Dimenticavo: la telefonata a casa. “Mamma sono a Parigi...per un concerto...torno domani...”. Inutile che vi racconti delle imprecazioni e delle urla al telefono. Ma in quel momento contava poco. Importante era essere lì, ad un passo dalla mia splendida chimera. Dopo essermi riposato in un gelido parco pubblico per qualche ora, entrai al Pavillon. Sembrava un piccolo teatro da 3-4000 posti al massimo, molto simile ad un cinema di Firenze dove a volte ero andato. Nel frattempo la fatica dovuta al lungo viaggio e la poca alimentazione mi stavano per giocare un brutto scherzo. Non so cosa mi tenne in piedi, perché sulle note di Live Wire stavo realmente per svenire. Se da una parte l’adrenalina faceva il suo effetto positivo, la stanchezza, l’attesa, l’emozione esagerata mi crearono uno stato di tensione ai limiti del collasso. Per questo del concerto ho tanti flash ma non un ricordo nitidissimo dei dettagli.
Il volume dei Marshall era a livelli pazzeschi e sembrava far esplodere lo scarno palco. La mia attenzione era tutta rivolta ad Angus. A seguito di questa piccola impresa, fui soprannominato proprio Angus, anche perché nonostante abbia sempre cantato, amavo scuotere la testa a ritmo della musica, quando ancora non si sapeva che si chiamava headbanging...Poi Il sudore. L’immagine del sudore sprigionato da questo minuscolo eroe è nitida anche se in parte si confonde con quello rivisto nel 1982 alla proiezione del film (eravamo in 3 al cinema Roma di Pistoia!) in una sorta di mix tra sogno e realtà. Posso testimoniare che vedere Ang a pochi metri, in braccio ad un roadie su Rocker mentre “passeggia” tra il pubblico, fu una visione memorabile. Epica poi l’immagine di lui che passa sulle spalle di Bon Scott. Chiarissimo invece è in me il coro “Ang, Ang” su Whole lotta Rosie. Sapere di averlo cantato a squarciagola in una circostanza così importante mi riempie di orgoglio. Così come a Castle Donington nel 1991, quasi a chiudere il cerchio. Non ho ancora detto che questo fu il mio primo concerto rock. Immaginatevi di passare dai Pooh ed Angelo Branduardi, visti con i miei genitori, direttamente ad uno spettacolo degli AC/DC, nel momento in cui erano al massimo come gruppo. Questo da solo, a Parigi e contro la volontà di chi deteneva la responsabilità su di me! Assurdo, a ripensarci oggi, da padre.
Avevo visto qualche immagine in TV, ma mai vissuto in prima persona quello che già allora si chiamava “pogo”. Primo show e primo pogo. Esagerato. Su Let There Be Rock, il Pavillon era un vorticoso, infuocato girone infernale puzzolente di fumo, birra ed umori. Come cantava Bon qualche pezzo prima: Hell Ain’t A Bad Place To Be! La memoria dell’evento finisce qui. Dei concerti successivi (Lione ’82, Donington ’91 tra gli altri) ho in mente maggiori dettagli. Di questo purtroppo no e ribadisco che si confondono a tratti con le successive immagini, viste decine di volte per 40 anni, dello storico film. Delle cui riprese tra parentesi nessuno sapeva nulla. Lo scoprii solo all’uscita del relativo VHS, visto talmente tante volte che ora è buono solo come cimelio da collezione. Finito il concerto, stremato, ricordo nitidamente di essermi seduto su una panchina fuori dal Palasport e di essermi svegliato dopo qualche ora. Una corsa verso la metro per non perdere il treno verso Lione, stavolta, tappa che mi avrebbe fatto raggiungere Torino, poi Firenze e di nuovo casa. Una volta rientrato ero consapevole del fatto che i miei me l’avrebbero fatta pagare, la bravata. Non sono mai stato toccato dai miei genitori, neppure una volta, se non in questa occasione, al mio ritorno. Uno schiaffo di mio padre fu talmente forte che mi fece fare un balzo all’indietro e quello non si confonde con nulla! Resterà stampato per sempre nella mia mente. Come resterà scolpita nella roccia una tre giorni assolutamente unica, ripetuta negli anni successivi per altri eventi (non solo AC/DC) ma mai eguagliata in termini di emozione estrema.
La notizia della morte di Bon Scott arrivò improvvisa, tramite una di quelle riviste che ricevevo a casa. Si presentò così, come un macigno sulla testa. Seguirono giorni di profonda tristezza e desolazione, come ad aver perso una persona cara. Preferisco quindi in queste ultime righe ricordare il primo ascolto di Back In Black. Il vinile sul piatto, le campane di Hells Bells, l’intro che non finiva più. Poi, finalmente, eccola. La voce. Pensai subito che era perfetta. Magnifica, graffiante, potente. Poi il testo: ”I’m rolling thunder, pourin’ rain, I’m comin’ on like a hurricane; my lightning’s flashing, across the sky, you’re only young but you’re gonna die!”. Fantastico.
Non è certo originale essere folgorati da quest’ album ma è impossibile non segnalarlo. Back In Black è uno di quei lavori che ti rendono immortali e mi piace immaginare Bon, quel Bon che ho avuto l’onore ed il privilegio di vedere in quei giorni indimenticabili, seduto da qualche parte con un whiskey in mano, a godersi lo spettacolo di una band ancora in piedi, nonostante tutto. E che speriamo ci regali, a breve, un ultimo bis... Let There Be Rock!
Lo staff ringrazia Fabio Bucci per la disponibilità, la sensibilità e l’emozione con cui ha voluto raccontare, condividere con Max questa esperienza.